Biografia di Luigi SCHINGO

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Biografia di Luigi SCHINGO

Luigi Schingo nacque a San Severo il 4 marzo del 1891.

La storia della sua vita è scandita dai tragici eventi delle due Guerre mondiali:  scopre il suo talento e frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Napoli dove Domenico Morelli e Filippo Palizzi hanno già realizzato la loro riforma ma l’ingresso ufficiale  di Luigi Schingo nel mondo dell’arte avviene già nel 1913: a soli ventidue anni, viene ammesso con tre opere alla Esposizione internazionale di Firenze.

Gli anni tra le due Guerre mondiali

Parte come soldato per la Prima Guerra mondiale facendo ritorno dopo quattro anni  per ricoprire il ruolo di insegnante nella Scuola tecnica di San Severo.

In questa prima fase, che potremmo definire della “fioritura artistica”,  Luigi Schingo darà il meglio di sé stesso, è  giovane, ambizioso e vuole il  successo che sa di meritare: nel 1921 vince il concorso per il Monumento ai Caduti di Veroli e si propone per il Monumento ai Caduti di San Severo; il bozzetto viene accettato dalla commissione ma l’opera realizzata sarà quella dello scultore, ben più famoso, Amleto Cataldi.

Si trasferisce a Molfetta dove si imbatte in una Puglia diversa dai paesaggi piatti e monotoni del Tavoliere: marine, barche di pescatori ormeggiate nel porto, processioni sacre e tradizioni differenti; nuovi orizzonti e anche amicizie importanti; in questa città svolge la attività di professore di disegno nella Real Scuola Tecnica.

Partecipa alla Prima Mostra provinciale di Belle arti e di Arti applicate in Foggia con tre sculture ed undici dipinti, ottenendo la  Medaglia d’argento del Ministero della P.I. e l’acquisto di un quadro per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma; nel 1923 è presente alla Prima Mostra d’Arte Moderna, allestita presso l’istituto di Belle arti di Foggia.

Luigi Schingo disegna la copertina del catalogo della Prima Mostra di Artisti pugliesi in Palazzo Salviati a Roma e la Regina Elena acquista sette suoi quadri.

La sua carriera artistica continua nel 1925 con l’Esposizione alla Biennale di Milano ed alla 2° Mostra internazionale delle Arti decorative di Monza; espone nel 1926  alla II Biennale di Lecce e alla Prima Mostra d’arte marinara a Roma.

Esegue nel 1927 il Monumento in bronzo dedicato al Papa Pio XI, nel Seminario pontificio regionale di Molfetta; il Papa Pio XI volle ricevere in udienza l’artista per congratularsi con lui dell’opera realizzata.

Nel 1928 esegue il Monumento in bronzo nella Villa comunale di Foggia nel centesimo anniversario della nascita di Lorenzo Scillitani.

Vince il concorso nazionale per il Monumento dei Caduti di Lavello (Potenza),  dove verrà realizzato quel bozzetto che non si era potuto collocare nella sua città e partecipa alla Mostre di Milano e di Roma.

Soltanto nel 1928, all’età di trentasette anni, tiene nel Circolo Artistico di Bari in Palazzo Pizzarotti la sua prima mostra personale; nel 1929 tiene la sua seconda mostra personale nel Circolo artistico di Roma, presentato da Alfredo Petrucci; in Volturara appula realizza il Monumento ai Caduti della Prima guerra mondiale.

Nel 1930 esegue la scultura “Il lanciatore di palla vibrata”, opera destinata al Foro Mussolini in Roma, ma l’opera non verrà selezionata dalla commissione con grande rammarico dell’artista.

Partecipa alla 1° Quadriennale d’arte presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma; il  Ministro dell’Educazione Nazionale lo nomina nel 1932 regio ispettore onorario ai Monumenti.

Nel 1933, Luigi Schingo diventa Segretario Provinciale del Sindacato fascista dei Professionisti e degli Artisti e partecipa alla I° Mostra Nazionale dei Sindacati Fascisti di BB.AA. di Firenze, presentando la scultura “Ritratto di mia madre” e l’olio “La trebbiatura nel Tavoliere”.

Il 3 novembre del 1934 si tiene la mostra in via Margutta a Roma; dal 1936 al 1938 Luigi Schingo è Direttore della Scuola di avviamento professionale di Lanciano.

Nel 1937 si tiene a Foggia, nel Palazzo del Podestà,  la I Mostra d’arte della Sezione Provinciale del Sindacato Fascista BB.AA.  di cui Luigi Schingo è presidente del comitato.

Il  3 dicembre 1937 si inaugura il Teatro comunale di San Severo; le decorazioni sono eseguite, sulla base dei disegni del progettista,  Accademico d’Italia Arch. Ing. Cesare Bazzani,  da Luigi Schingo che si costituì come impresa in sostituzione di quella appaltatrice dei lavori edili.

Gli anni del Dopoguerra

Nel marzo del 1939 Luigi Schingo si trasferì a Roma, dove visse fino al giugno del 1947, con l’incarico di Direttore della Scuola di avviamento professionale.

Nel 1942 partecipa con un paesaggio alla X Mostra sindacale del Lazio a Roma, nelle sale della Galleria nazionale di Arte moderna, insieme agli artisti:  Gino Severini, Mario Mafai, Emanuele Cavalli, Orfeo Tamburi, Domenico Purificato, Afro Basaldella, Toti Scialoja e Giuseppe Capogrossi; tutti artisti che sarebbero entrati a far parte della Storia dell’Arte moderna italiana.

Il ritorno in Capitanata nel 1947 segna l’inizio della seconda fase della sua vita:  sono gli anni che lo vedono isolato, lontano dalle sedi del dibattito artistico e sarà vano il tentativo dell’artista di superare i limiti della sua collocazione geografica, esponendo a Milano, Roma, Napoli, Perugia, Asti, Sassari, Sondrio, Alghero, Matera, Bari  e Foggia, in un vortice di mostre personali e collettive, pur rimanendo sempre estraneo ad ogni moda e rifiutando qualunque teoria rivoluzionaria nel campo delle arti, ricercando invece la sua ispirazione artistica nella esperienza concreta e diretta della realtà della sua terra di origine.

Non viene dimenticato il ruolo avuto nel passato regime e, sovente, l’artista dovrà fare spazio a chi si era saputo riciclare, cambiando in corsa il colore della propria casacca; saranno le gerarchie della Chiesa ed il partito della Democrazia cristiana i suoi principali referenti e committenti ma essi non potranno giovargli in un quadro che, in provincia di Foggia, era dominato dai partiti di sinistra, per queste ragioni, saranno  lenti ma inevitabili il declino e l’isolamento.

Espone a Roma nel 1948 alla Rassegna nazionale delle Arti figurative ed a Milano nella Galleria Bolzani; nel 1950 partecipa alla Mostra d’arte degli Amici dell’Arte di Foggia; partecipa nel 1953 alla Mostra del Mezzogiorno di Roma; a Napoli, presso la Galleria “Il Ponte” dal 16 al 27 aprile del 1956; partecipa alla esposizione “Maggio di Bari“.

Nel 1958 esegue nella Cattedrale di San Severo il Monumento in memoria del Vescovo S.E. Mons. Oronzo Durante; realizza il busto in bronzo, nella Villa comunale di Manfredonia, del Prof. Matteo Carpano ed espone presso la Galleria “Il Camino” a Roma; esegue nel 1959 il Monumento dedicato al Vescovo Agostino Castrillo, nella Chiesa di Gesù e Maria in Foggia, ed espone presso la Galleria “Mediterranea” di Napoli.

Partecipa al Concorso per il Monumento ad Umberto Giordano ed espone presso il Palazzetto dell’Arte in Foggia; nell’aprile del 1963, tiene una mostra personale alla Galleria Piccinni di Bari e partecipa alla Mostra di pittura sul paesaggio pugliese; mostra personale a Sondrio; nello stesso anno realizza a San Severo il Battistero della Chiesa di San Giovanni Battista.

Esegue nel 1965 il busto in bronzo di Dante Alighieri presso il Liceo classico di Salerno; partecipa alla Biennale di Arte sacra di Bologna del 1966; mostra personale a Matera; a Bari, in occasione della inaugurazione del bassorilievo dedicato a Domenico Cirillo presso il Convitto Nazionale, Luigi Schingo viene presentato dal Magnifico Rettore dell’Università, prof. Pasquale Del Prete.

Mostra personale a Roma, nel 1967, presso la Galleria “La Paolina”; mostra personale a Napoli, nel 1968,  presso la “Galleria Mediterranea” in cui espone il ritratto ad olio dell’Arcivescovo di Napoli; partecipa alla VI Rassegna biennale di Arti figurative di Roma e del Lazio.

Realizza nel 1969, nell’aula magna dell’Istituto tecnico “Pietro Giannone” di Foggia, l’altorilievo in memoria della Medaglia d’oro Giuseppe Albanese Ruffo e il monumento funebre dedicato alla Medaglia d’oro Gen. Matteo Palmieri nel cimitero di Sannicandro garganico.

Mostra personale nel Salone del Palazzo della provincia di Sondrio; nel mese di maggio, Luigi Schingo viene invitato, in occasione della Fiera internazionale dell’agricoltura di Foggia, a tenere presso il Palazzetto dell’arte una esposizione delle sue opere che viene inaugurata dal Presidente della Camera dei Deputati  On. Sandro Pertini.

Mostra personale di Luigi Schingo presso la Galleria “Giosi” in Roma; altorilievo in bronzo nella Casa del S. Cuore di Gesù a Sant’Agata di Puglia;  mostra personale ad Alghero nelle sale dell’Ente autonomo di soggiorno e turismo.

Il  24 maggio 1971, viene inaugurata la Mostra personale nel Salone del Palazzo della provincia di Asti; realizza, alla età di ottanta anni, il Monumento ai Caduti nella piazza di S.Agata di Puglia; gli viene assegnata la Medaglia d’argento della Mostra del Titano; dal 16 al 26 ottobre si tiene una mostra personale a Perugia.

Nel 1972 la Galleria d’Arte ‘Ranno’ di Cuneo festeggia con una mostra i suoi sessantacinque anni di attività artistica; il 18 aprile viene inaugurato il suo Monumento ai Caduti nella piazza di Accadia; nel maggio del 1973, l’Amministrazione comunale di San Severo, organizza nel Teatro Comunale una sua mostra di centocinquanta opere.

La “Gazzetta del Mezzogiorno” annuncia la morte di Luigi Schingo avvenuta il 2 marzo del 1976.

Nel suo libro su Luigi Schingo, Raffaele Iacovino così ha scritto: “Ricordo il giorno del rito funebre nella chiesa di San Giovanni Battista. C’erano solo i famigliari, un gruppetto di amici e qualche ammiratore. Dietro di lui c’era il vuoto. San Severo era assente. Un’assenza pesante e ingiusta.”

Le opere di Luigi Schingo sono presenti nei seguenti musei: Galleria nazionale di arte moderna di Roma, Gabinetto nazionale delle stampe di Roma, Pinacoteca provinciale di Bari, collezione dell’Università di Bari, Pinacoteca comunale di Molfetta, Pinacoteca provinciale di Foggia, Pinacoteca comunale di Foggia, Museo civico di Lucera, Museo civico di San Severo.

Francesco Sessa

Luigi SCHINGO: una testimonianza

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(Pubblicato sul giornale quotidiano “L’ATTACCO” il 25 luglio 2014)

Luigi SCHINGO:  una testimonianza  

Dal discorso commemorativo tenuto dal Magnifico Rettore della Università di Bari, prof. Pasquale Del Prete,  in ricordo dell’Artista Luigi Schingo, il giorno 15 0ttobre 1977, ad un anno dalla sua scomparsa, nell’Auditorium della Biblioteca provinciale di Foggia: “…Egli, dunque, è passato, lasciando nell’opera della Sua vita, l’immagine splendente della Sua terra, la luce vivida dei Suoi colori, i bagliori incomparabili dei tramonti del Gargano, riflessi nelle trasparenze cristalline del Suo mare e sempre, dovunque, esprimendo i valori stupendi della Sua visione nelle forme semplici e pure, nella commossa serenità di una nobile sintesi stilistica che fa di Lui l’inconfondibile pittore del paesaggio dauno”.

Ho conosciuto il prof. Luigi Schingo in treno nel marzo del 1963: con mio zio Mario andavo a Bari per fare visita a dei parenti.

Il professore, così  tutti lo chiamavano, aveva 72 anni, anziano ma in forma, piccolo di statura, magro, indossava un elegante cappotto color cammello che lo rendeva più simile ad un uomo di affari, un commendatore milanese più che un artista; anche il suo cappello era di buona fattura e, come si vede sui libri di Storia dell’architettura moderna, molto somigliante all’architetto Frank Lloyd Wright con cui aveva in comune i capelli bianchi di lunghezza insolita in quei tempi in cui i Beatles non erano noti.

Il motivo del viaggio del professore era quello di essere presente, per incontrare amici e visitatori, nella Galleria Niccolò Piccinni, corso Vittorio Emanuele,  in pieno centro di Bari, dove si svolgeva una sua mostra personale di pittura e di scultura.

Fummo invitati dal professore, mio zio ed io, a visitare la sua mostra, dovere a cui non ci sottraemmo,  e, nel pomeriggio, visitammo questa bella sala di esposizione con le pareti piene di quadri ad olio, a pastello ed acquarello, tutti paesaggi del Tavoliere di Puglia ed angoli della Bari vecchia.

Pochi anni dopo, ebbi la fortuna di visitare lo studio del professore in via Fortore, ai limiti del centro abitato di San Severo: un intero isolato di circa 450 metri quadrati, occupato per metà da un fabbricato di un solo piano e per l’altra metà lasciato a giardino privato, circondato da un alto muro di recinzione.

Il fronte dell’edificio era simmetrico ed al centro vi era situato il portone di ingresso; i pochi privilegiati ammessi oltrepassavano la soglia ed accedevano ad un atrio decorato con gli stessi elementi architettonici che il professore aveva realizzato nel Teatro comunale di San Severo.

L’edificio era diviso in due parti: a sinistra, un corridoio, con le pareti coperte di quadri dal soffitto al pavimento, conduceva ad alcune camere arredate con divani e librerie ed, in fondo, al vasto studio della scultura e, di lato, allo studio della pittura.

Dalla parte opposta si raggiungeva il locale destinato al carico e scarico delle casse da imballaggio utilizzate per il trasporto delle preziose opere del professore: alcune erano di ritorno dalla mostra personale a Roma o a Milano, altre provenivano da un concorso o erano modelli di gesso in partenza per la fonderia.

Questa attività era tenuta lontana dalle stanze destinate al lavoro creativo a causa del rumore ed erano frequentate soprattutto dagli addetti alla confezione delle casse: un lavoro faticoso ma indispensabile, simile a quello di una agenzia specializzata in trasporti.

Lo studio di scultura era l’ambiente di lavoro di maggior fascino per il visitatore: era stracolmo di modelli in gesso di opere già realizzate in pietra di Apricena, marmo bianco di Carrara o in bronzo e, sulle mensole delle pareti, si affollavano busti di uomini e donne, giovani e vecchi,  personalità civili, religiose o militari, mentre su dei piedistalli erano poggiate le opere in fase di modellazione, a tutto tondo o a bassorilievo, fatte di argilla umida e ricoperte da fogli di plastica per evitarne la rapida essicazione od opere in fase di sbozzatura con il sistema dei punti e l’aiuto di compassi; questo lavoro  veniva eseguito da provetti assistenti come il fidato Michele Urbano ed il giovane Antonio Priore, fior fiore degli artigiani di quel tempo in San Severo.

Il professore era molto orgoglioso del suo lavoro di scultore monumentale, forse meno poetico o piacevole delle opere a pastello o degli acquerelli, per cui viene apprezzato comunemente, ma di maggiore soddisfazione professionale per la grande quantità di lavoro e le competenze tecniche che la scultura richiede.

Lo studio di pittura era molto spazioso, bene illuminato dalla luce naturale proveniente dalla vetrata sul giardino, più intimo ed accogliente anche per lo stesso professore che qui era solito sbrigare la fitta corrispondenza e ricevere amici, galleristi, vescovi, prefetti, politici e letterati oltre che a dipingere.

Alle spalle del suo tavolo personale, ingombro di carte, erano collocati sulla parete un autoritratto giovanile ed una riproduzione in gesso delle sculture in bassorilievo del Partenone di Atene, mentre, di fronte a lui aveva voluto il busto a tutto tondo, in pietra di Apricena, dell’adorata madre Felicia Danese; questa opera venne in seguito donata dall’autore, insieme ad altre opere di carattere familiare, al Museo civico di Foggia, attualmente sono ospitate  nella Pinacoteca comunale, dove costituiscono un insieme di sculture e di pitture notevole per qualità e omogeneità di contenuto.

Il professore lavorava con metodo, come si conviene ad un serio professionista: niente in lui poteva far pensare ad un artista strampalato o eccentrico: la sua vita era semplice, riservata e modesta, non si era sposato e viveva con due sorelle in una casa di corso Gramsci, andava nella chiesa di San Giovanni Battista ogni giorno per ascoltare la messa e ricevere la Comunione, poi si recava al lavoro nel suo studio fino a mezzogiorno, ora in cui, dopo avere raccolto un mazzolino di fiori nel suo giardino, a piedi, generalmente accompagnato da qualche amico, si recava a casa per il pranzo; al pomeriggio, era di nuovo al lavoro in studio fino alle venti e trenta, ora in cui il lavoro terminava ed erano ammessi visitatori e parenti.

Ricordo che, sulle pareti dello studio, erano affissi cartellini discreti ma bene in vista, che invitavano le persone presenti ad un comportamento adeguato al luogo: invitavano al silenzio, ritenuto fonte inesauribile di virtù e presupposto indispensabile della concentrazione mentale di chi non voleva essere distratto dalla sua attività creativa: in poche parole, bisognava lavorare in silenzio e, ad ogni modo, stare zitti.

Il professore era sempre vestito in modo impeccabile, sia d’estate che in inverno, era in giacca e gilet, camicia, cravatta; quando dipingeva o modellava, indossava un camice, pulito, senza macchie di colore; mentre, d’inverno, per sopportare il freddo, indossava una specie di panciotto di pelle di pecora rivoltata, forse una sua invenzione, molto simile ai montoni che si usano oggi.

Non aveva niente dell’artista tormentato o maledetto: era sempre sereno e intento al suo lavoro; ad eccezione delle Domeniche, il professore lavorava sempre, anche quando era in vacanza portava con sé, che andasse al mare o in montagna, la sua prediletta scatola in legno dei pastelli e con quella dipingeva all’alba, al mezzogiorno ed al tramonto.

Una curiosa abitudine era quella del quadro da fare a Capodanno o in occasione del suo compleanno: perché anche alla sua età, così diceva, continuava ad imparare e solo così, mettendosi alla prova e confrontando i risultati, poteva rendersi conto dei suoi progressi…

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Interessante è la descrizione di Gaetano Cristino, nel libro dedicato alla collezione d’arte dell’Istituto tecnico “Pietro Giannone” di Foggia, del quadro “Trebbiatura”, che viene analizzato  sviscerandone il grande interesse pittorico  e documentaristico: “ Il documento è nella veduta dal vero che Luigi Schingo ci consegna, con la descrizione di una giornata estiva della campagna di Capitanata, presumibilmente nei primi decenni del Novecento, con i braccianti intenti ad alimentare di covoni la trebbiatrice meccanica e sullo sfondo le mete di paglia, verso le quali conduce la diagonale prospettica. Non è il solito paesaggio assolato, c’è anche del prato verde e un albero  fronzuto vicino al cascinale. Siamo forse vicini a quel flessuoso e gaio Subappennino di cui egli stesso parlava. La lunga e sottile ciminiera della trebbiatrice sporca di fumo nerastro il cielo cilestrino. Gli inconvenienti del progresso. Pittoricamente l’opera è molto vicina alla tradizione paesaggistica napoletana, quella di Giacinto Gigante, i cui influssi dovevano essere ancora intensi  quando il giovane Luigi Schingo andò a studiare nella capitale partenopea. Ma non c’è il gusto della riproduzione fedele del “panorama” che spesso faceva scadere le opere dei pittori della Scuola di Posillipo. Schingo non indulge al particolare, alla calligrafia; sente la suggestione impressionista e costruisce la scena con poche pastose pennellate di colore, questo sì, dal giallo ocra alle terre al verde smeraldo al celeste, prezioso e luminoso come quello che aveva caratterizzato l’Ottocento napoletano. L’opera non è datata, ma considerando il soggetto, la tecnica utilizzata e lo stato di conservazione va sicuramente ascritta alle opere realizzate dal Maestro nei primi decenni del Novecento.” .

Francesco Sessa

San Severo

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San Severo

A sud-ovest del Gargano si estende – com’è noto – la pianura detta Tavoliere di Puglia, ricca di grano, di viti e di olivi. Questa vasta pianura, la seconda d’Italia dopo quella del Po, si stende a perdita d’occhio liscia e lineare come una tavola (il nome, quale che ne sia l’origine, è perfettamente appropriato), limitata soltanto, ma in lontananza, dall’azzurrina montagna del Gargano e dall’altra parte, ma ancor più lontano, dai monti del sub – Appennino. Nel Tavoliere è la Capitanata col suo grande centro, Foggia, e le città minori, ma pure popolose e fiorenti, San Severo e Cerignola. Sono grossi paesi agricoli. In Puglia, come in genere nelle regioni dell’Italia Meridionale e dell’Italia insulare, soprattutto per ragioni storiche, i contadini preferirono e per tradizione preferiscono tuttora vivere raccolti in centri abitati. Alle prime luci dell’alba, lasciano il paese per il lavoro dei campi e rientrano al tramonto, quando il cielo è già pallido e nell’aria si spande la lieve malinconia della sera, sui carretti, sulle motociclette o sulle biciclette, portando con sé gli strumenti agricoli, seguiti per  lo più dal cane rossiccio. Nonostante la crescente motorizzazione e benché molte braccia, per l’emigrazione e per l’accresciuto benessere, siano state sottratte alla terra, ancora oggi nei centri agricoli della capitanata si serbano, se pure in parte, gli antichi costumi. A maggio i campi di grano sono alti e verdi; verso la fine del mese le viti ricche di pampini e gli oliveti dalla larga chioma argentea hanno già i loro minuti fiorellini gialli. Maggio in questa terra  è veramente il mese del pieno rigoglio della natura: e in una della prime domeniche si celebra la festa della Patrona di San Severo, la Madonna del Soccorso, “La Madonna nostra del maggio”. Nei tramonti di primavera e d’estate, quando tornano dalla campagna i contadini, si vedono alcuni di essi, oggi i più anziani, portare sul manubrio della bicicletta un mazzetto di gigli o di garofani o di rose : quei fiori danno una nota di gentilezza al rude aspetto degli uomini, intorno si spande una fragranza di campi di erbe, di aria libera e fresca”.

(M.V. Venturo Lamedica, “Umberto Fraccacreta, poeta del Tavoliere” 1969 C.E.S.P. Napoli, Foggia e Bari).

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4 marzo 1891

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A San Severo, il 4 marzo del 1891 nacque Luigi Schingo.

Il padre Antonio era un piccolo proprietario terriero, la madre si chiamava Felicia Maria Danese; tre i fratelli: il geometra Giovanni, Salvatore, ufficiale dell’Esercito, e Pasquale, corridore ciclista; tre le sorelle: Elvira, Carmelina e Sila.

La passione per l’arte ed i colori si manifestarono fin dall’infanzia, passione ereditata dal nonno materno architetto Giuseppe Danese, trovando compiuta e piena espressione negli studi presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli.


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Domenico Morelli e l’Accademia di belle arti di Napoli

Domenico Morelli (1823-1901). Allievo del Guerra e poi del Mancinelli, cioè di educazione accademica, volle  rivestire di panni veristi i personaggi della tradizione classica e romantica, i soggetti greco-romani, medievali e biblici, dipingendoli come se fossero stati visti o visibili, studiati e ripresi nel loro ambiente e nella loro luce. Fu così che dai “Martiri cristiani portati in cielo dagli angeli” (1849) giunse agli “Iconoclasti” (1855), al “Conte di Lara”, ai “Profughi di Aquileia”, al “Bagno pompeian”o, al primo “Tasso ed Eleonora” (1863) al “Gesù sulle acque” (1865), alle “Marie al Calvario”, al “Cristo deposto” e al “Cristo deriso” (1871), agli “Ossessi” (1876), alle “Tentazioni di sant’Antonio” (1879), su  sino al “Cristo servito dagli angeli” e al “Giuda pentito” che rimase interrotto dalla morte: una serie di clamorosi successi in continuo crescendo che  lo fecero riconoscere dai contemporanei, anche all’esterno, come il primo pittore italiano del tempo.

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“I martiri cristiani”, 1851 olio su tela cm.160×219, Museo nazionale di Capodimonte di Napoli.

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“Le tentazioni di S.Antonio”, 1878 olio su tela cm.137×225, Galleria nazionale d’Arte moderna di Roma

Ricordando i tempi del suo apprendistato pittorico, Domenico Morelli nel 1878, così scriveva: “ Chi si metteva per la via dell’arte era tenuto come un uomo bislacco, un cervello balzano, e forse peggio. Entrava l’afflizione in quella famiglia nella quale ad uno dei figlioli si appiccicasse il ticchio di fare l’artista. Se lo avevano per perduto o quasi, lo stimavano votato al disprezzo degli uomini serii, dannato alla povertà e alla miseria. Fra gli alunni dell’Accademia, non se ne contava nessuno che appartenesse a famiglia agiata e signorile; seppur ve n’era qualcuno, questi studiava solo architettura; degli stessi artisti provetti si aveva concetto come di persone stravaganti e di una casta inferiore alla civile” (Primo Levi l’Italico, “Domenico Morelli nella vita e nell’arte”, Roma-Torino, 1906, p.14).

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“Ritratto di Bernardo Celentano”, 1859 olio su tela cm.67×52, Collezione della Galleria nazionale d’Arte moderna di Roma.

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L’ingresso ufficiale  di Schingo nel mondo dell’arte avviene a 22 anni alla II Mostra internazionale di pittura, scultura, architettura e bianco e nero che si tenne a Firenze del 1913 dove espose tre opere: “Autoritratto su fondo bianco”, “Giornata grigia” e “Annanie”.

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 Il giornalista e critico d’arte G. Lipari Focher così si espresse nell’ammirarle:

“ Delle tre da potersi annoverare tra le migliori dell’esposizione, non saprei dire quale è quella che si presenta più rimarchevole. Egli eccelle nel suo autoritratto e nella larghezza dei suoi paesaggi. E’ corretto, mira all’effetto, ad attirare l’attenzione ad ogni costo, ma il suo colpo di pennello è vigoroso: i contrasti e  le armonie delle gradazioni meravigliosamente intensi. Pregio di questo artista è l’essere sempre nobile e variato; è lo studio ch’ei fa del bello e del vero in tutte le sue forme; è la cura della particolarità, è la produzione dei contrapposti i più originali e sensibili nell’espressione dei suoi concepimenti: tutta la poesia del  creato espressa con una verità, con un vigore, con un’armonia, con un insieme che è difficile imitare. Immenso è l’effetto di queste pitture poiché si osserva che l’artista tutto ciò che ha visto ha riprodotto con la magia del suo strano pennello”.

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Nel novembre dello stesso anno partecipò all’Esposizione del Massimo a Palermo dove gli fu conferita la menzione onorevole. Qui espose l’olio “Alle porte del Gargano”; il pastello colorato “Primavera sulle rocce” e l’olio “Meriggio estivo”.

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Prima Guerra mondiale 1915/1918

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Partecipa alla guerra del 1915-1918, facendo ritorno a casa dopo quattro anni,  per poi ricoprire il ruolo di insegnante nella Scuola tecnica di San Severo.

Come ci ricorda Antonio Milone in un articolo del “Il Foglietto” del giugno del 1924: “Gli anni della guerra non fermarono la sua attività e, contemperando le esigenze del servizio militare con quelle della sua fervente fantasia, trova distrazione e conforto, nei momenti di riposo e di nostalgia, dipingendo ed abbozzando quadri e pastelli: così che al ritorno nella sua città natia, assetato quasi di luce e di colori, dà sfogo alla  sua vena e: quadri, acquerelli, oli, pastelli e gessi, si, anche sculture, si susseguirono in vertiginosa produzione”.

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